mercoledì 29 aprile 2015

Perdere le vecchie abitudini d'amare... è possibile?

Perché è così difficile staccarci da tutto ciò che alla fine ci porta a stare male?
Quanta fatica facciamo a staccarci dalle vecchie e distruttive abitudini di amare?
Quando l'amore mette in pericolo il nostro animo interiore?

Anche se trovassimo subito le risposte a questi interrogativi, non smetteremo di amare come stiamo facendo.
L'amore ambiguo, che riduce in pezzi ed un attimo dopo fa stare "sulla Luna", è uno degli intoppi più difficili da snodare.
Perché?
Liberarci dai rapporti disfunzionali, che siano d'amore, d'amicizia o di lavoro implica rivedere noi stessi... 
Implica quindi conoscere i motivi per cui non riusciamo a staccarci da quel legame.

Chiamare tutto ciò legame è il termine più azzeccato; infatti i rapporti di questo tipo ci stringono così forte all'altra persona, tanto da assorbirci e farci dimenticare le nostre risorse di donne.
Spesso è proprio questo l'intoppo: concedersi affettivamente con la garanzia di dover in qualche modo soffrire, quasi fosse una logica inevitabile. 
Se amo, dovrò anche star male.
Questa mattina, quando mi prendevo cura delle mie orchidee e ne tagliavo le radici secche che impedivano alla pianta di nutrirsi più in profondità, mi è venuta di colpo quest'associazione: quando si ama incondizionatamente queste radici, anche se secche e dannose per noi stesse, si rivelano al contrario necessarie.
Ed in fondo queste radici ricalcano la "radice madre" della nostra storia: il nostro passato d'infanzia.
Non dobbiamo stupirci quindi se "capitano sempre uomini assenti o sfuggenti" sotto mano... spesso questo non è un caso.
Quando ci si trova costrette a tagliare le radici dei rapporti distruttivi, molte volte si arriva a questa unica scelta come esito di una costrizione: 
-"sono costretta a separarmi da lui, non ho altra scelta".

Questo ha l'effetto di un violento schiaffo: tutte le fatiche, le speranze e le attese spazzate via in un attimo.
Tagliare le radici non sarà un cammino lineare. 
A volte nemmeno la medicina del tempo può lenire la ferita, se non accuratamente elaborata.
Il viaggio interiore alla ricerca dei motivi che ci legano a quel rapporto porterà al recupero di noi stesse, ri-conoscendo parti di noi che prima negavamo ed abbandonando i vecchi ruoli di bambine che tutt'ora ci condizionano.
Separarsi dagli amori distruttivi vuol dire imparare ad ascoltarci in profondità, fino a comprendere nei piccoli dettagli le ragioni che ci hanno legate a tutto ciò.
In questa lotta per la separazione incontreremo parecchi ostacoli...
in fondo, la nostra bambina interiore è saldamente intrecciata a quel legame e continua a sperare nella rivincita, per affermare il suo potere che in passato non ha avuto. 
 
 
 
Ed è proprio questo viaggio interiore, il pellegrinaggio più faticoso ma dai risvolti unici per la nostra individualità. 
Magari finite in terapia con l'amara ferita di esser state lasciate,
 ritroveremo la strada che porta alla nostra serenità interiore... 
e ri-nasceremo.
Non per gli altri,
ma per noi stesse.

Questo è lo spettacolo della ri-nascita a cui assisto nel mio lavoro.
Con grande coraggio, determinazione e perché no, anche qualche ricaduta, si ri-trova il terreno fertile dove ri-seminare i nostri semi più preziosi: i semi della nostra unicità.
Ed in questa terra non ci sarà bisogno di correre alla ricerca esasperata della conferma altrui, cesserà l'amare troppo come unica via dell'affetto e si calmeranno le acque dei ricordi nostalgici che ci fanno vedere il passato più frizzante del presente.
Queste parole rendono chiaro questo punto d'arrivo:

"Ho disdetto l'abbonamento al canale dei sogni, ho tolto la spina al proiettore di desideri distruttivi e rottamato la macchina che fabbricava illusioni. 
Salde le radici nel qui e ora, aperte le gabbie della mente, mi pervade una quieta felicità:
 io sono amore e gratitudine." (La mosca e la farfalla)  
 
Spesso accade però che queste nuove consapevolezza ci spaventino, a tal punto da ritornare indietro, negli abissi delle abitudini di un amore che calpesta ma che è stabile nella sua voracità.
Il cambiamento porta inevitabilmente ad una fase di vero e proprio lutto:
per le nostre antiche speranze di bimbe, 
per l'idea di coppia che abbiamo interiorizzato negli anni,
per la necessità di trovare una rivincita ed
avere potere su quell'uomo che incombe nei nostri giorni inquieti.

Come descrive bene la psicoanalista Marion Woodman:


Perché abbiamo così paura di cambiare?
Perché quando siamo così disperatamente desiderosi di un cambiamento, diventiamo ancora più disperati quando inizia la trasformazione?
Perché perdiamo la nostra fiducia infantile nella crescita?
Perché ci aggrappiamo alle vecchie cose invece di affidarci a nuove possibilità, a quei mondi inesplorati del nostro corpo, della nostra mente, della nostra anima?
Siamo capaci di piantare un bel bulbo di amarilli, di degli la giusta dosa d'acqua e di luce, ne osserviamo i primi teneri germogli, il fusto in rapida crescita, i boccioli, e alla fine rimaniamo ammirati davanti ai grandi fiori a campana che sembrano quasi suonare il loro 'alleluia' alla neve fuori.
Perché dobbiamo avere più fede in un bulbo di amarilli che in noi stessi?
Forse è perché sappiamo che la vita dell'amarilli risponde a qualche legge interna, una legge con cui abbiamo perso il contatto dentro noi stessi?
Se riusciamo a concederci il tempo di ascoltare l'amarilli, il suo stesso silenzio potrà risuonare dentro di noi, e potremmo sperimentare la sua eterna quiete.
Potremo trovarci dentro l'essenza del mistero.
E in quel luogo, il luogo della Divinità, potremo accettare la Nascita e la Morte.
L'elegante fiore delicato morirà: 
ma se al bulbo verranno dati il giusto riposo ed oscurità,
un nuovo fiore sboccerà il prossimo anno".
(tratto da: "Puoi volare farfalla", di M. Woodman)

Il distacco dalle vecchie abitudini inevitabilmente attiva una fase di caos ed instabilità.
Ma solo lasciando andare tutto ciò che calpesta la vostra gioia d'animo,
compresa la parte di voi che si cimenta in queste relazioni dannate,
ritroverete il senso del vostro divenire.

Buona settimana e buon ponte!
Barbara

giovedì 9 aprile 2015

Metti a tacere il tuo critico interiore! ...Con gentilezza...

Chi di noi non ha dentro di sé un'aspro critico interiore?
Quella sottile ma chiara voce che viene puntualmente a trovarci quando facciamo qualcosa di nuovo?
O quando ci stiamo impegnando in un progetto importante?

Spesso questa parte di noi ha delle aspettative altissime su quello che "dovremmo fare" e si ciba di perfezionismo, che naturalmente non riusciremo mai ad ottenere...
Non solo! Ci porta a pensare di essere soddisfatte di noi stesse solo se dimostreremo la perfezione in ogni ambito della nostra vita: dobbiamo essere impeccabili.
Quindi il mattino appena svegli avremmo già una precisa lista delle cose da fare assolutamente entro la mattinata, entro il pomeriggio ed entro sera ( e perché no, magari anche di notte nei nostri sogni?).
Questa severa programmazione degli impegni quotidiani potrebbe sembrare una lista della spesa per l'intero paese in cui viviamo e quindi a fine giornata non sarà mai portata a termine... e qui arriva puntuale la voce del nostro critico interiore:

"ecco vedi anche oggi non sono riuscita a concludere nulla,
tutte le mie colleghe ci riescono senza uno straccio di fatica
mentre io sono sempre indietro rispetto a loro."

Questi pensieri ci possono accompagnare anche fino agli ultimi istanti prima di addormentarci... oltre a farci mente locale sulla "programmazione" del giorno successivo scandendo bene orari, impegni ed incrociando il tutto... (e poi ci domandiamo come mai non riusciamo a prendere sonno?)
La nostra parte critica fatica a cimentarsi in qualcosa di nuovo perché sente che aumenterebbe il margine di rischio delle probabilità di fallire: agisce infatti come un'abile statista, approssimando le possibilità di successo e di fallimento. 
Quando compiamo un errore arriva di soprassalto una visione catastrofica che ci paralizza e ci ripetiamo di continuo: 

                        "ma come ho fatto? E che figura ho fatto davanti a tutti? Penseranno sicuramente che sono una fallita e rideranno di me..."

Le aspettative della nostra voce perfezionista sono così alte da essere irrealistiche.
Dovremmo avere il carisma e la grinta di Sarah Jessica Parker in "Sex and the City", la cura impeccabile della nostra casa di Bree nel telefilm "Desperate Housewives", la determinazione ed il coraggio sul posto di lavoro dell' assistente Anne Hathaway nel film " Il diavolo veste Prada" e non in ultimo... la forma fisica delle modelle brasiliane che sfilano nelle passerelle di intimo!
Se questi obiettivi non saranno raggiunti, non ci sentiremo mai abbastanza soddisfatte e continueremo disperatamente a ricercare di avvicinarci al nostro "ideale di donna che dovremmo essere".
Questa ricerca svaluta i nostri sforzi e cancella le possibilità creative che fioriscono da ciò che è inatteso o spontaneo.
Sminuiamo la nostra creatività soprattutto paragonandoci alle altre persone. E troveremo sempre chi scrive meglio, intrattiene i colleghi con più energia alle riunioni o presenta idee più utili.
Quindi la nostra parte "perfettina" ci condanna ad un principio del "tutto o niente" e di solito ci ritroviamo sempre sul versante del "nessun risultato raggiunto" o "raggiunto ma... non come immaginavamo".
Questa logica ci porta ad allontanarci da tutto ciò che potremmo essere o diventare, ritrovandoci sempre a fare i conti ed a castigarci per i fallimenti. 
Inoltre anche se raggiungiamo un obiettivo, siamo già travolte da tutti quelli che non abbiamo ancora raggiunto e non assaporiamo il godimento per il traguardo della giornata. 
La donna critica che vive dentro di noi non sopporta le nostre fragilità e le calpesta spingendoci a ricercare ideali irraggiungibili con un unico esito: non essere mai abbastanza.
Assicurati che il tuo peggior nemico non viva tra le tue orecchie.
Spazio per i pensieri negativi: 
cosa sta dicendo il tuo critico interiore?
"labbra piccole, noiosa, perdente, grassa,..."

Diviene quindi fondamentale prendere consapevolezza di questa nostra voce "saccente e mai contenta" e del peso che provoca nelle nostre vite.
Questo primo passo potrà portarci a lavorare su questa parte di noi ed anche qui c'è una regola fondamentale: distruggere questo critico interiore senza comprendere le ragioni della sua esistenza porterà ad un fallimento certo. Non a caso nel titolo di questo post ho richiamato la gentilezza come arma per poter mettere a tacere il nostro "sabotatore" ingrato.
Dato che si tratta sempre di una parte di noi, dobbiamo avvicinarla con rispetto.

Questa voce perfezionista ha sicuramente i suoi svantaggi ma porta con sé anche la sua utilità.
L'origine di questo "pezzettino" di noi stesse risiede nella nostra storia di vita e probabilmente sarà nato come compromesso a terribili paure di bambine.
Se prendiamo consapevolezza del peso del nostro perfezionismo interno e scegliamo di intraprendere un percorso di terapia personale sarà importante conoscere questo aspetto di noi stesse.
Nel percorso di conoscenza potremmo dare un nome a questa voce, immaginare le situazioni in cui interviene ed ascoltare che tipo di voce ha il nostro critico interno.
Potremmo ritrovarci davanti ad un "vecchio saputello" che sentenzia ogni nostro errore con pene di umiliazione che però è nato per proteggersi dal rifiuto che i nostri genitori avevano quando non eravamo "la figlia obbediente e brava".
Conoscere questo "vecchio saputello" o "la donna arida" che risiede dentro di voi, libererà la vostra anima creativa e permetterà di potervi sperimentare senza condanne al primo sbaglio.
In questo viaggio creativo le donne comprendono l'origine di tutto ciò e familiarizzano con le parti fragili, percependole non più come difetti ma come parti indispensabili di sé per ritrovare l'equilibrio interno.
Avere infatti una voce che detta perfezionismo dentro di noi, pone un grosso sbilanciamento tra ciò che dobbiamo essere a tutti i costi e ciò che in realtà siamo.
Riportare questa "bilancia psichica" in equilibrio significa proprio riuscire ad integrare le nostre fragilità con il nostro desiderio di perfezione. In questa unione in cui tollereremo finalmente gli aspetti che prima non sopportavamo di noi stesse, la voce critica si calmerà per dare spazio ad altri modi creativi di sperimentare le nostre giornate.
 Trasforma la critica in creatività.
Metti a tacere il tuo critico interiore.

Perciò iniziate a prendere conoscenza del vostro aspetto giudicante, che spesso incastra la vostra voglia di progettare e che impedisce di sentirvi soddisfatte...
come vi fa sentire questo continuo giudizio su ciò che fate?
Contate più successi o fallimenti nella giornata?
E gli errori che fate... quanto logorano i vostri pensieri?


In fondo è proprio nella nostra natura selvaggia essere imperfette.
Il viaggio coraggioso che possiamo intraprendere
consiste nel riuscire ad accettare le nostre imperfezioni
per poi ridarne un significato diverso.
Le nostre fragilità diverranno le parti di noi che prima cercavamo disperatamente negli altri.

Buona settimana donne nuove!
Barbara



mercoledì 1 aprile 2015

"Di che tipo di corazza sei prigioniera?"

La protagonista della scorsa settimana è stata Cenerentola, l' archetipo (modello) dell'eterna fanciulla. Questa donna è rimasta intrappolata nelle immagini che gli altri hanno di lei e che assume in cambio di affetto (ma anche in cambio di potere... ci sono sempre dei vantaggi nei ruoli che vestiamo!).
Invece questa settimana vorrei citare il modello opposto di donna, ovvero il mito della "Donna Guerriera" o dell' "Amazzone Coraggiosa".
Questo archetipo rappresenta una donna che per affermarsi mostra molte doti maschili, diventando una donna in carriera a tutti gli effetti e mettendo "i pantaloni" rifiutando completamente le gonne.
Questa scelta diviene radicale e quindi ingabbia questa donna:
 indossare la gonna, ovvero le qualità femminili di ascolto e sensibilità potrebbero comportare "una grande fregatura"... così ci si inasprisce e si mostra il proprio scudo come simbolo della propria forza ed autonomia.
Molte donne al giorno d'oggi, per dimostrare che non sono inferiori al genere maschile, esasperano questo ruolo di "guerriera" per far vedere che non ci manca di certo la determinazione e la sicurezza interiore. 
Però spesso estremizziamo questa tendenza da eroine "alla Xena" (noto telefilm in cui una guerriera è la protagonista) ed è proprio questa esasperazione che ci porta lontane da tutto ciò che ci appartiene, ovvero la femminilità più sensibile... credendo che al primo segnale di queste qualità verremo abbandonate o rifiutate.
Lo scudo da guerriere quindi diviene una corazza contro l'angoscia dell'abbandono e contro la nostra parte indifesa, debole e vulnerabile.
"Esser considerate innocue fa ribollire il sangue di alcune donne;
cercano di essere sgradevoli scimmiottando i modi degli uomini.
E ci riescono.
Tracannando whiskey liscio, con gli occhi annebbiati.
Spavalde aspettando la gloria."
Carolyn Kizer 
Fin dagli antichi tempi, la cultura delle Amazzoni disprezzava gli uomini togliendoli dai posti di comando. Spesso le Amazzoni schiavizzavano gli uomini ed assumevano le funzioni maschili di potere. Queste donne addestravano le figlie ad una legge di vita fatta di cicatrici vistose e di dure battaglie all'ultimo sangue. 
Si dice addirittura nella leggenda che le Amazzoni si facevano asportare la mammella destra per tirare le frecce con più precisione!

In questi comportamenti non c'è altro che un'identificazione inconscia con il maschile.
Spesso se una donna ha avuto un padre irresponsabile e non presente affettivamente, la tendenza abituale è quella di reagire contro di lui indirettamente: ovvero si vestono i panni maschili per rivendicare in un secondo tempo una figura genitoriale poco affidabile. 
Questo diviene un compromesso davanti all'amara sofferenza e all'abbandono subito nei primi anni di vita.
Il desiderio quindi diviene quello di controllare il mondo esterno, percependolo privo di rischi.
La donna Amazzone però al posto di integrare gli aspetti maschili che potrebbero renderla completa, ne abusa identificandosi a pieno titolo con le funzioni del potere "maschile".
In questo senso ne diviene vittima perché in realtà lotta contro un passato non elaborato.
Come sostiene la psicoanalista Linda Leonard:

 "è importante riconoscere di che tipo di corazza è prigioniera la donna che veste questo ruolo.
Se non lo capisce continuerà a difendersi da ciò che ha dentro.
Avrà bisogno di accettare la sua Ombra di debolezza.
Spesso sotto il guscio di forza dell' Amazzone si trovano passività e dipendenza ed un fortissimo bisogno che può consumare quelli che le stanno attorno.
Accettare la propria debolezza non significa passare per sempre alla posizione opposta di "donna accudente", sebbene questo possa essere un momento necessario per lo sviluppo.
Se l'Amazzone può imparare a dare un valore alla sua vulnerabilità e agli aspetti della vita che non possono essere controllati, sarà in grado di trovare nuove fonti di forza."

Il "passare alla posizione opposta" è una fase che spesso noto nel mio studio: o vestiamo il ruolo di "donna accudente" o passiamo direttamente al ruolo di "spietata battagliera".
Diciamo poi che per noi donne non è semplice integrare questi due modelli perché spesso ci troviamo a rifiutare la rabbia amara o al contrario la nostra fragile vulnerabilità... per non parlare poi dei modelli che ci vengono proposti sin da piccole, ovvero le principesse totalmente buone, le streghe totalmente cattive o le donne travestite da uomini guerrieri. 
L'integrazione quindi fin dai nostri primi anni di vita, anche nei messaggi che vengono dal mondo esterno, non viene promossa.
Al contrario la nostra immagine deve esser chiara e quindi deve avere una precisa sfaccettatura ad esempio della ribelle orgogliosa o dell'umile donna accondiscendente. Spesso questi due modelli possiamo adottarli in momenti differenti della nostra vita ma anche qui siamo lontani dal nostro vero sé...
Il concetto del "Sè" è un'obiettivo molto duro da raggiungere... infatti quando siamo "centrate" e non siamo in preda dei ruoli che utilizziamo abitualmente della vittima, della spavalda, dell'insicura, della romantica, dell'ostile o della "credulona" possiamo affermare di essere libere da queste maschere e di aver preso contatto con il nostro "vero Io".
Riprendendo le parole di Linda Leonard nella "Donna Ferita":

"Donne che cadono nel comportamento archetipo dell' "Eterna Fanciulla" hanno bisogno di rendersi conto della loro forza e scrollarsi la loro identità di vittima.
Donne che sono catturate dalla tendenza da "Amazzone" al controllo, hanno bisogno di vedere in che misura il controllo può essere una falsa forza e di apprezzare l'essere aperte verso ciò che non può essere controllato."

Ed in voi donne che leggete, quale ruolo sentite più vicino al vostro modo di vivere?
Sentite di essere più inclini alla "Donna accudente", elogiate per la vostra compiacenza, capacità di mediazione e cooperazione?
O al contrario vi sentite più "Amazzoni", determinate ed in carriera?
Ricordiamoci poi, che spesso questi due modelli convivono nella stessa donna...

"Mi sono ritrovata prigioniera in due terribili corazze, quella da Diva e quella da Martire.
Quando dovevo affacciarmi al mondo lavorativo diventavo una competitiva "Diva Guerriera", pronta a sacrificare ogni energia pur di brillare davanti agli altri e dimostrare il mio potere.
Ma quando ritornavo a casa, tra le mura domestiche mi ritrovavo a vestire i panni di una "Martire Frustrata" che non riusciva ad imporsi e alla fine scendeva sempre ai compromessi degli altri, nel nome del ruolo della "Salvatrice" delle liti quotidiane."

cit." La Donna Ferita"

Buona settimana Donne Nuove!
Barbara